scrivere

Ho sempre pensato che scrivere fosse una sorta di atto liberatorio, qualcosa che consentiva a ciò che era dentro di fuoriuscire in maniera prepotente.

Certamente è anche questo ma non solo questo. Scrivere è la propria personale verità che viene sparata in faccia al lettore da quella mitraglia che è la tastiera ed i cui proiettili sono i caratteri. Solo colpendo a “fondo” (virgolette non casuali) si può essere certi di sortire un qualche effetto. Solo se la mia indignazione (indignatio omnis) farà indignare chi legge o lo farà sussultare allora avrò raggiunto il mio scopo. Scopo precipuo e prevalente rispetto al gradimento del lettore. Quanti melensi e zuccherosi romanzi d’amore, d’appendice, eccetera, abbiamo letto? E cosa è cambiato in noi?

Photo by Laura Kapfer on Unsplash

Il lato “oscuro” dello scrivere, quello commerciale, è sempre presente ed è prevalente di fronte ad altre forme dello scrivere. Ecco perché noi leggendo un qualcosa di melenso “proiettiamo” il nostro disperato bisogno di credere. Credere in cosa? Credere che salvo qualche “piccolo” imprevisto, non proprio evitabile, tutto finirà bene e il settimo cavalleggeri arriverà sempre puntualmente seppur all’ultimo minuto! E se qualche volta ci fosse qualcosa, poniamo in TV, che ci dice:

Non sempre è così” nessuna paura c’è sempre il telecomando con cui cambiare canale.

Per vedere i soliti triti e ritriti programmi spazzatura che sono l’oppio della mente.

Con gli eterni non invecchiati il cui massimo dello sforzo consiste nello spiegare come fu scoperta l’acqua calda. Abbiamo portato gli spazi espressivi degli intellettuali nei mercati all’ingrosso delle arti “trash” dei media. E se qualche narratore è per ventura riuscito ad evitare le sirene del facile successo non ci si preoccupi: costui finirà per certo per trovare nella sua Samarcanda ciò che era riuscito ad evitare. Perché è provato e funziona: si può prendere il tram ma a una condizione: non disturbare il manovratore! Chi non è d’accordo può scendere alla prima fermata.

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